di Gabriele Bonafede
A Palermo e in Sicilia, da dove sono partiti i Cinque Stelle, si dice così: Cuegghiè. Significa chiunque, chicchessia, qualsiasi persona, uno o una qualsiasi, tutti-nessuno-e-centomila. Per la precisione cuegghiè, sarebbe, nelle diverse varianti: Cù è-gghiè o Qual’è-gghiè. Ed è parente di Com’è-gghiè (come capita), Quant’è-gghiè (quantità indefinita), Unn’è-gghiè (da qualsiasi parte). Un governo purchessia, insomma. Un governo dei Cinque Stelle pur di governare. D’altronde, cummannari è megghiu ri futtiri (comandare è meglio di fottere).
Come succede in tanti casi, la versione vernacolare di un concetto rende l’idea più dell’italiano, ancor più con proverbi associati. Per lo meno a chi conosce una data lingua vernacolare. Il palermitano, sull’indeterminatezza, è particolarmente ricco e dotato.
Non solo il palermitano quale lingua locale, quale vernacolare, ma anche in quanto cittadino (e cittadina) di Palermo. Non a caso, a Palermo, i Cinque Stelle hanno ottenuto una valanga di consensi: quasi il 50% dei voti alle ultime elezioni politiche.
La metà degli elettori ha scelto, in qualche modo e tra le altre cose e proposte, l’indeterminatezza dei Cinque Stelle: né di destra né di sinistra, contro l’Euro e per l’Euro, per le riforme e contro le riforme, per dialogare con la destra e per dialogare con la sinistra, per accogliere gli immigrati e per mandarli via, per questo e per il contrario di questo stesso, di qua e anche di là.
L’indeterminatezza a Palermo è ricca di espressioni. Ad esempio “a muzzo”, a caso, a random si direbbe oggi utilizzando un inglesismo, è espressione utilizzata spesso, per lo meno fino a qualche anno fa. Ma anche “a cu pigghiu pigghiu”, (‘ndo cojo, cojo, in romanesco). Oppure, a comu capita (come capita), e anche comu nesci si cunta (come va a finire si racconta).
Va anche sottolineato che l’interlocutore Pd di Roberto Fico, Maurizio Martina, essendo segretario reggente e non eletto da nessuno, è assimilabile, senza offesa e per un fatto esclusivamente democratico, a Cuegghiè. Nel senso di carica politica. E anche il Pd sembra, fino a prova contraria, in mano a Cuegghiè in termini di direzione politica. Cuegghiè, in questo momento, persino il sottoscritto che non ha alcuna voce in capitolo, si permette di dire la propria. Nei social, Cuegghiè dice ciò che vuole e quando vuole, che sia del Pd o meno, simpatizzante, acerrimo nemico o meno.
Ma, soprattutto, è il M5S che si affida volentieri a Cuegghiè: Lega, destra, sinistra, basso, alto, centro, Pd, LeU, Casa Pound… Cuegghiè pur di governare.
Per dirla in maniera più precisa, se così si può dire, “a trasi e nesci” (letteralmente, a entrare e a uscire). Precisamente, una definizione colorita e recente di “a trasi e nesci” la fornisce “Siculopedia”. A trasi e nesci: “Tecnica retorica e diplomatica sicula il cui contenuto del discorso, che in teoria dovrebbe avere lo scopo di esprimere una opinione riguardo ad uno specifico argomento, risulta invece talmente arzigogolato che il flusso superfluo di informazioni si vaporizza non appena raggiunge il cervello dell’interlocutore, lasciando quest’ultimo con la sensazione di avere appena dialogato con il fumo di una “arrustuta”. Si paragona, per efficacia, alla tecnica della “supercazzola come se fosse antani”.
E chiudiamola qui. ‘A megghiu parola è chidda ca ‘un si dici. (La miglior parola è quella che non si dice).
Il fotomontaggio in copertina, ça va sans dire, è fatto a come è gghiè.