Il conto della Brexit sarà salato anche per l’Italia. Lo dimostrano tutti gli studi. Perché in Italia nessuno ne parla?
di Gabriele Bonafede
Pochi giorni fa, tutti i giornali anglosassoni hanno riportato almeno una parte delle notizie riguardanti il rapporto “segreto” del governo britannico sui costi reali della Brexit. Rapporto “segreto”, perché, come denunciato da vari media in lingua inglese, sarebbe stato imbarazzante da pubblicare da parte del governo-May. Dimostrerebbe, infatti, che la Brexit costerebbe alla Gran Bretagna dal 2% all’8% del PIL.
Si tratta di cifre gigantesche, e che non comprendono costi, anch’essi ingenti, dovuti all’adeguamento infrastrutturale, fisicamente e non, legati alla follia che è la Brexit. Il rapporto, distribuito ai membri del governo e arrivato per lo meno in parte alla stampa nonostante la segretezza, analizza infatti vari scenari. Che vanno dalla “soft Brexit”, cioè con un minimo di accordo tra UE e Gran Bretagna, alla “hard Brexit”, cioè senza alcun accordo. Il conto sarebbe un -2% nel caso di soft Brexit e -8% nel caso di hard Brexit.
Purtroppo, al momento, il futuro più probabile è proprio quello della “hard Brexit”, se non peggio. Nello studio che è arrivato in qualche modo alla stampa estera, non sembra siano calcolati anche altri, importanti, costi: quelli legati ai diritti civili e a tanto altro. Sarebbe dunque uno studio solo dal punto di vista esclusivamente “economico” e, a dire la verità, solo una parte degli aspetti economici.
Si tratta di un rapporto che è stato al centro dell’attenzione della stampa estera. Ma che, “stranamente”, non è stato che marginale nella stampa italiana, nonostante sia implicitamente uno dei temi principali della campagna elettorale in corso. Innanzitutto perché uno dei “programmi” in voga in certi partiti e movimenti è quello dell’atteggiamento dell’Italia riguardo all’UE.
Ma non solo. Esistono infatti in Italia non poche formazioni politiche che vorrebbero “togliere” le sanzioni alla Russia. In realtà è la Russia che ha imposto sanzioni a determinati prodotti italiani, sia pure come misura di rappresaglia alle sanzioni UE, molto più limitate. Le vorrebbero togliere in quanto danneggerebbero l’economia italiana. Per carità, ragionamento forse giusto da un punto di vista esclusivamente economico. Ma si dovrebbe ragionare in questi termini su tutto, non con una palese faziosità nei riguardi di determinati Paesi esteri. Anche da un punto di vista “sovranista”, ammesso e non concesso, si dovrebbe ragionare realmente per il tornaconto dell’Italia e non solo per tornaconto della Russia (chissà perché poi, fare gli interessi della Russia, forse perché lo dice Al Bano? Possibile…).
Gli stessi partiti e movimenti plaudono infatti alla Brexit in quanto una simile operazione, una “Italexit”, “darebbe sovranità” all’Italia. Dimenticando, però, a parte gli ovvi costi che darà la Brexit alla Gran Bretagna in primo luogo (che potrebbe fare simpatia ai molti italiani che ci abitano e lì hanno fatto carriera, contrariamente a quanto accade in Russia), che l’Italia commercia (ed esporta) molto di più con la Gran Bretagna che con la Russia.
In Italia, non mi risulta ci sia ancora qualcuno o un’istituzione che si sia occupata della faccenda. Se ci sono studi in tal senso, non sono stati pubblicizzati più di tanto, per lo meno al grande pubblico. Non si sa ancora quanto costerà la Brexit all’Italia. La cosa non stupisce, visto che l’Italia si affanna ad andare dietro a possibili presidenti del consiglio che non parlano correttamente nemmeno l’italiano, figuriamoci l’inglese. E che dimostrano di non avere nemmeno una minima infarinatura su temi di storia e geografia, figuriamoci d’economia.
Fatto sta che, anche senza redigere uno studio degno di tal nome, ma solo vedendo le grandezze coinvolte, il costo per l’economia italiana sarebbe ragguardevole. Di gran lunga più alto dell’eventuale costo che si sta pagando, ammesso e non concesso, per le fantomatiche “sanzioni alla Russia”. Gli italiani pagherebbero un conto molto salato alla Brexit, come britannici, tedeschi, francesi e un po’ tutte le popolazioni mondiali. Per lo meno quale contraccolpo della recessione britannica dovuta alla Brexit. L’Imminente recessione, se la Brexit sarà attuata, è ormai segnalata dai maggiori indici economici e finanziari del Paese governato dalla May. Difficile spiegare qui quali sarebbero i costi indiretti, soprattutto a chi ha difficoltà persino a coniugare i verbi, in italiano. Ma anche senza contare i costi indiretti, gli italiani pagherebbero direttamente in primo luogo in termini di esportazioni e importazioni.
In particolare, l’Italia (dati 2016, per il 2017 verosimilmente più grandi) esporta in Gran Bretagna il 5% del proprio export e importa circa il 3% del proprio import. Si tratta, ovviamente, di cifre immense, ovvero quasi 20 miliardi di Euro di export e 9,7 miliardi di import, per un totale di quasi 30 miliardi di commercio.
Oggi va di moda una teoria sorpassata da un paio di secoli. Cioè, grosso modo, da quando ancora si credeva che la terra fosse piatta. E cioè il mercantilismo: la convinzione che sia economicamente negativo importare rispetto all’esportare. Ma anche nei confronti di chi dà credito a questa sorpassata teoria, figlia del cosiddetto “sovranismo” e tornata in voga tra ambienti privi di conoscenze d’economia, è ovvio che la Brexit ridurrebbe in primo luogo le esportazioni italiane. Non solo a causa di nuove tariffe evidentemente meno favorevoli, ma anche per la contrazione stessa dell’economia britannica, previsione ormai acclarata persino negli ambienti governativi che vorrebbero la Brexit. Perché in Italia non se ne parla?
Giornalisti e commentatori sono evidentemente troppo indaffarati in altre, risibili, considerazioni. Quelle dei candidati-show TV, ad esempio
Vedrò di approfondire l’argomento in successivi interventi. Dicendo solo, per adesso, che i primi settori economici italiani, e i più colpiti, sarebbero ovviamente quelli che commerciano molto con la Gran Bretagna, sia per l’export che per l’import. E inizio col dire che si tratta, per l’export, di macchinari e automobili (e veicoli di vario genere, per circa 5 miliardi di Euro), dell’industria agroalimentare (oltre 2 miliardi di Euro), prodotti chimici, in gran parte dell’industria farmaceutica, tessili e abbigliamento (anche qui oltre 2 miliardi), metallurgia, etc. Soffrirebbero, ovviamente, gli occupati di questi settori. E molto. Attraverso licenziamenti, salari più bassi, e tutto il seguito di tragedie personali e familiari legate a una crisi di queste dimensioni.
In questi settori, e stiamo parlando solo dell’esportazione, gli italiani pagheranno un conto salato. Molto salato. In realtà, una contrazione dell’economia britannica anche del solo 2% avrebbe conseguenze nefaste a una scala semplicemente imponente, anche e soprattutto per l’Italia.
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