di Gabriele Bonafede
Palermo ha un rapporto particolare con la morte e con la festività collegata. Dal Gattopardo che “corteggia la morte” alla definizione di “ammazzatina” per segnalare una strage, c’è sempre stata una certa inclinazione a disquisire sulla morte con contributi irredimibili e inaspettati. D’altronde, come in tanti altri posti del mondo.
Ma, a Palermo, la cosa assume contorni particolari. Basti pensare che la nostra amata Santuzza, così bella, piccola e dolce, e che passa sempre con il profumo di rose, tiene in mano un cranio: ricordati che devi morire. E mo’ m’o scrivo, come disse qualcuno.
Lapalissiano: il giorno dei morti è sempre stato speciale per Palermo, solo di recente massacrato e soppiantato dalla sventurata sagra consumista di Halloween.
Per fortuna, a Palermo, c’è chi ha pensato a rinvigorire la tradizione del giorno dei morti. Si tratta dell’“evento”, come si dice oggi, della Notte di Zucchero. Che, attraverso musica e teatro, riporta i palermitani a quella tradizione con annessi e connessi. È un vero e proprio viaggio nel rapporto tra Palermo e la morte, nella notte del primo novembre.
E quest’anno si svolgerà al Teatro Politeama: nel centro del centro di Palermo. Laddove, di fronte al capolavoro architettonico di Almeyda, è morta metà della piazza, forse una delle più belle d’Italia tra quelle ancora non pedonalizzate: è sfigurata da lavori pubblici che chissà quando finiranno, se mai finiranno.
In un recente passato che continua ancora oggi, la tradizione “dei morti” a Palermo è stata condita da contorni infelici, tanto da indurre a regalare, nella Palermo dei boss-anni ’70, armi-giocattolo ai bambini. Una pratica non particolarmente educativa.
Ma, per fortuna, non solo questo. C’erano, e ci sono tuttora, una serie di attività e di tradizioni tra le quali spiccano i “Pupi di zucchero”. Mamme e papà portavano ai bimbi dei pupi di zucchero colorati. Erano mirabili sculture per noi bambini. E che cercavamo di mangiare piano piano pur di non demolire la loro integrità, nonostante fossero ugualmente masticati e gustati nel giro di poche ore.
La manifestazione della “Notte di Zucchero” approda al Politeama alla sua III edizione non-consecutiva. Le prime due furono realizzate con grande successo, prima ai Cantieri Culturali alla Zisa e poi al Teatro Biondo.
Quella ai Cantieri Culturali, come la successiva e la prossima, prevedeva una serie di brevi monologhi teatrali in altrettanti piccoli spazi di rappresentazione. A ciclo continuo, di circa un quarto d’ora a rappresentazione, con gli spettatori che scelgono di vederne 4-5 nella serata, passando da uno all’altro guidati dai “Morti di zucchero”: giovani volontari addobbati a “fantasmini” che fanno da guida e presentazione ad ogni spettacolo a tema, ovviamente, “la morte”.
Il risultato è stato particolarmente entusiasmante, nonostante le lugubri e pesanti premesse. E qui sta il bello. È d’uopo: da un’idea sciagurata e quasi lapalissiana è venuto fuori un grande successo.
Tanto che ho avuto anche io la sciagurata idea di proporre un mio testo. Contro ogni aspettativa è stato selezionato. E per grande fortuna dei palermitani, credo sia la prima volta che venga rappresentato un mio lavoro ai concittadini: finora questa ulteriore sciagura era stata risparmiata.
A maggiore fortuna si tratta di soli 10-15 minuti e pochissimi potranno vederlo perché, all’interno del Teatro Politeama, è stato collocato in un cesso di posto. Per la precisione: nei cessi monumentali, che rimarranno stupendi nonostante la temporanea violazione.
Non contento di questo, ho proposto il tema della morte con le banalità di La Palice, il “Catalano” dei secoli passati, al quale dobbiamo l’aggettivo “lapalissiano”. E sono proprio le banalità da evitare a teatro. Se avete bisogno, utilizzate cessi diversi da quelli in cui è collocato lo spettacolo, così non avrete alcuna probabilità di vederlo.
L’artista che, ahimè, si è prestato al lugubre esperimento è molto bravo e adatto allo scopo: Antonio Ribisi La Spina. Ha la caratteristica fisica di assomigliare priciso ‘ntifico a Ciancimino con qualche annetto in più. E sono sicuro che mi perdonerà, oltre a migliorare non poco il copione di base.
Andate invece a vedere gli altri venti monologhi che, a partire dal titolo, promettono molto bene anche perché interpretati da artisti che in gran parte conosco e che sanno fare teatro per bene.