
Un direttore, più direttori di un Teatro al paradosso
di Gabriele Bonafede
In città c’era un bellissimo Teatro. Grande, famoso. Il direttore del Teatro fa dunque un bel discorso dal palco reale, che dà sia sulla sala principale del teatro che sulla piazza. Per avere maggiore numero di persone ad ascoltarlo, preferisce il lato della piazza. Non lontano da me, appena fuori dalla folla assiepata ad ascoltare il direttore, un giapponese ben appostato tira fuori una pistola e spara.

Il direttore del Teatro muore sul colpo, cadendo giù dal palco.
Dopo i funerali, l’amministrazione nomina un nuovo direttore. Ricordando le cose bellissime fatte dal precedente, il primo discorso del nuovo direttore è appassionante. Parla dallo stesso palco. Non dice molto, perché lo stesso giapponese che tutti vedono come la volta precedente, prende la pistola, la stessa pistola di prima, e spara.
Anche questo secondo direttore muore sul colpo sotto gli occhi esterrefatti della folla assiepata per ascoltarlo. Cade giù. Morto. Il sottoscritto è ancora più esterrefatto, perché lo stesso individuo che ha sparato lo hanno visto tutti: sparare la prima volta e anche la seconda.
Ma in città, pare, tutti siano molto omertosi. Provo ad avvertire che forse sarebbe il caso di non lasciar sparare impunemente un qualsiasi individuo uccidendone un altro. Ma nessuno ascolta, l’omertà è cosa difficile da estirpare.
Al terzo direttore con relativo discorso, provo incoscientemente ad avvicinarmi al giapponese con la pistola, che è sempre lì nel momento in cui anche questo direttore prova a fare un discorso. Il nuovo è leggermente più furbo dei precedenti, perché sceglie un altro posto da dove parlare, e per giunta ha una specie di scorta intorno a lui.
Il giapponese mi vede e spara su di me. Per fortuna a salve, il colpo non mi fa assolutamente nulla, ma non mi permette di fermarlo in tempo. Poi spara al direttore e lo fa stramazzare al suolo come gli altri due precedenti. Nonostante le precauzioni, la scorta e tutto il resto.
E tutti hanno visto chi ha sparato.
Passano un paio di mesi che trascorro altrove, non in città. Al mio ritorno leggo sui giornali che un giapponese avrebbe sparato con una pistola al quarto direttore del Teatro, pur essendo, questo, abbastanza furbo da evitare un discorso pubblico.

Mi chiedo come mai non si faccia nulla per prendere il killer. Che ha un identikit ben preciso, è colto in flagrante, e chissà quanti telefonini hanno registrato il momento in cui spara, se non al primo, per lo meno agli altri tre poveri direttori uccisi.
È nominato un quinto direttore. Che passa i primi giorni del mandato praticamente nascosto. Ma un Teatro è fatto per fare spettacoli pubblici, e al primo spettacolo si siede sul palco d’onore, con giubbotto antiproiettile, una decina di guardie del corpo e tutte le precauzioni possibili.
Prima dell’inizio della prima, a inaugurazione per la stagione teatrale ormai rimandata di qualche mese, deve per forza dire due parole. Appena inizia un discorso, il giapponese prende la pistola e spara un colpo preciso alla testa, priva di protezione del giubbottino antiproiettile.
Il quinto direttore muore così, ugualmente.
Mi rivolgo ai vicini in sala e chiedo chi mai verrà a fare il direttore nella nostra città dopo tutto questo. Il nostro Teatro è morto. Ma non mi ascoltano. Le Cassandre non sono mai ascoltate.
In copertina, il Teatro Farnese a Parma.