
di Giovanni Rosciglione
Se potessi essere il giudice unico di un Premio alla Civiltà, sceglierei senza alcun dubbio Imma la madre della giovane Noemi, massacrata da una bestia umana.
Le consegnerei il premio con parole di commozione per il suo dramma e con complimenti per essere stata (a mia memoria) la prima cittadina italiana a ribellarsi al macabro fenomeno contemporaneo del Funeral Show, che impazza impunemente in tutta Italia ogni volta che una morte violenta diventa oggetto dell’attenzione della Stampa, dei Social e genericamente dell’opinione pubblica.

Il grottesco è che questo rito di humor nero viene celebrato, non solo per casi socialmente drammatici per il costume nazionale – simili a quello dell’omicidio di Noemi – ma anche per i due giovani motociclisti che si sono sfracellati ad una curva con una velocità di 225 Kmh, per la povera ragazza bruciata dalle droghe e trovata dentro lo scarico di una fogna senza che la famiglia sapesse niente, per il ragazzo disturbato che si suicida al primo inciampo della vita; e così via.
In questi casi si forma subito un comitato del dolore locale, che raccoglie soldi e fa preparare t-shirt con il nome del morto, grappoli di palloncini bianchi o di altro colore, organizza il decoro funerario, e crea gruppi di claque al passaggio della bara. In più, le strazianti interviste dei sedicenti amici o amiche della o del morto che, con un nodo alla gola e l’espressione commossa, dice “era una bella persona, dolce, sincera, solare”, solare è certo e lo erano anche drogati e pazzi.
Sto citando le caratteristiche note a tutti e valide ad ogni latitudine del nostro Paese, isole inclusissime.
Debbo dire con sincerità che questo nuovo segmento di impresa funeraria mi ha sempre provocato fastidio, oltre che disgusto. Ma credo che fra non molto rientrerà nelle statistiche economiche e sociali della CGIA di Mestre o della Banca d’Italia, come nuovo e attivissimo comparto specialistico.

Mi sono sempre chiesto come facciano i genitori e i fratelli, di fronte al dramma più devastante che si possa vivere: la scomparsa violenta di un pezzo del tuo cuore, una porzione della tua anima, della tua carne, a partecipare incuranti al carnevale del dolore. Come facciano a non gridare che hanno bisogno della sobrietà necessaria a elaborare il loro dolore, del silenzio e della riservatezza.
La società liquida, forse nebulizzata, dello spettacolo ha creato questo fenomeno intollerabile e il nascere incredibile di nuove figure sociali dotate tacitamente di poteri contrattuali nei confronti dello Stato e contese da giornali e talk show: i familiari del morto.
Forse la madre della piccola Noemi, con il suo urlo a difesa della riservatezza del dolore, non sapeva neanche di aver rotto questo rito selvaggio, che ho sopra descritto.
Non sono il giudice unico che ho citato nella prima riga, purtroppo. Ma spero che queste mie modeste osservazioni possano essere condivise da quel “mondo dei normali”, che continuo a pensare non sia la minoranza.