
di Gabriele Bonafede
Nel 1842, lo scrittore Nikolaj Vasil’evič Gogol‘, pubblicò “Le anime morte”. Un romanzo epocale che rappresenta un vero e proprio spartiacque culturale nella storia. E che rimane una pietra miliare della letteratura europea in lingua russa.

Tradotto praticamente in tutte le lingue del mondo, è uno dei più grandi romanzi nel descrivere le assurdità dell’impero zarista, la folle e inefficiente burocrazia nella Russia di allora (ma forse anche di questi giorni), il feudalesimo con le proprietà di persone quali servi della gleba e tanto altro. Le anime, come venivano definite nei censimenti e i libri contabili dell’epoca, rappresentavano il “capitale” di piccoli e grandi proprietari. Senza il quale, si era dei poveretti senza alcun diritto.
Il romanzo narrava di un furbacchione, Pavel Ivanovič Čičikov, che aveva trovato il modo di fare carriera sociale comprando a poco prezzo i servi della gleba di piccoli proprietari. Servi che, sebbene già morti, figuravano ancora quali persone di proprietà feudale in quasi tutti i possedimenti attraversati a passo di calesse.
Stupendo nella descrizione di proprietari che erano più morti delle loro anime morte.
Ovviamente, molti proprietari di queste anime ormai morte, erano ben felici di venderle, anche a un prezzo minimo. Per giunta, evitavano così di pagare una tassa dovuta fin quando i servi della gleba morti, le anime, erano ancora registrati quali vivi. Sempre a causa della lenta burocrazia russa dell’epoca.
Di contro, il nostro Čičikov, avrebbe acquisito un “capitale” che, per quanto esistente solo sulla carta, gli avrebbe permesso di ottenere un buon prestito in danaro prima di dileguarsi, o comunque una scalata sociale in un mondo feudale dove possedere servi della gleba, sia pure già morti, procurava uno status sociale necessario ad avere diversi vantaggi.
Guarda caso, Gogol, che nacque in Ucraina ma viaggiò molto, scrisse la quasi totalità di questo romanzo a Roma. Città ispiratrice, fino ad oggi, nel millantare anime morte… Tanto è vero che il vicepresidente della Camera, Luigi (detto Giggetto) Di Maio, è riuscito a parlare di “un certo Boneschi” che, secondo Di Maio, dopo un solo giorno in Parlamento, prenderebbe un vitalizio di 3108 euro al mese.
Peccato che Luca Boneschi sia purtroppo morto nel 2016. Ma per Di Maio vale evidentemente la regola del buon Čičikov: che importanza ha se un’anima è morta? Evidentemente vale sempre nel millantare credito politico e favorire così la propria scalata elettorale e sociale.
Una domanda sorge spontanea: visto che si tratta di un grande letterato, Luigi Di Maio ha forse letto “Le anime morte” di Gogol? Oppure è tutta farina del suo sacco?
Ai posteri l’ardua risposta. Purché siano anime vive.