
di Pasquale Hamel
Come mi chiede Maredolce, scrivere di Giovanni Falcone nel giorno in cui si ricorda il tragico epilogo della sua storia personale a ventiquattro anni di distanza dalla Strage di Capaci, è difficile. Si rischia infatti di inserirsi nella scia della retorica che sembra ancor oggi trionfare fino a coprire mancanze e responsabilità evidenti.
Voglio provarci ricordando che Falcone è stato un uomo a cui stava particolarmente a cuore la legalità e, proprio per questo motivo, non poteva che essere inviso a chi della legalità non poteva importare più di tanto. Considerato anche che c’era chi aveva più interesse a strumentalizzare l’impegno antimafia per costruire percorsi politici personali o per giustificare proprie scelte di parte, la sua battaglia fu esemplare e particolarmente difficile. Di anno in anno, ogni 23 maggio, siamo costretti a constatarne tutta l’attuale drammaticità.

Diciamo subito, senza ipocrisie, che Falcone a molti non piaceva. E che, nonostante i suoi indiscussi meriti per avere adottato metodi più efficaci nella lotta alla mafia, la sua cautela nell’affrontare le vicende giudiziarie con le quali si andava a confrontare veniva da alcuni considerata non utile, e la sua attenzione alle regole veniva considerata ostacolo, sempre da alcuni. Laddove la legalità era invece il centro della sua opera per la costruzione di uno Stato avanzato, civile e più forte della barbarie mafiosa.
Diciamo ancora che Falcone, negli ultimi mesi della sua vita e se si eccettua Borsellino, era un uomo “solo”. Che, oltre a rischiare e infine perdere la vita, forse rischiò anche di essere infilato nel tritacarne della “antimafia politica” nella quale l’avrebbero potuto abbandonare molti di quelli che, forse di facciata, apparivano i paladini di una nuova stagione di legalità. Basta ricordare come venne trattato quando si parlò della sua candidatura a capo dell’Ufficio istruzione di Palermo.
Fu proprio l’astensione di Magistratura Democratica, la corrente di sinistra che lo avrebbe dovuto sostenere, a determinare con la sua astensione la clamorosa e, per molti versi, ingiustificata sconfitta in quel caso. O ricordare, ancora, l’effetto che fecero, in certi ambienti, altre vicende.
Infine, basta ricordare le poco edificanti sceneggiate, in occasione di talk show, in cui ci fu chi non si fece scrupolo di accusare Falcone in TV.
Falcone, ripeto, è stato in momenti importanti uomo solo e uomo della legalità. Che è stato costretto a lasciare Palermo proprio per sfuggire alle calunnie che andavano montando contro di lui e di cui fu manifesto il famigerato memoriale del corvo.
Qualcuno, con la spregiudicatezza che in questi casi non manca mai, si lancia in un infelice tentativo di strumentalizzare l’assassinio di Falcone. Su tutte le vicende legate a Falcone, purtroppo ancora attuali, personalmente ci andrei cauto se non altro per non fare un torto ad un magistrato che aveva consapevolezza di quello che faceva e che, ripeto, considerava la legalità l’unico orizzonte di riferimento.
A Capaci, 24 anni fa, è stato trucidato, insieme alla moglie che l’accompagnava e alla scorta che lo proteggeva, un grande magistrato che aveva dato una svolta alla lotta alla mafia senza farsi strumentalizzare da chi, forse, intendeva farne strumento di lotta politica. Al di là delle ipocrisie e onorando la verità, si abbia il coraggio di dire che Falcone è stato odiato dai mafiosi e non amato da certi antimafiosi. Ma, per fortuna, è stato amato e continua ad essere amato da tutti i siciliani onesti e coerenti.
In copertina: Giovanni Falcone foto tratta da Wikipedia, con la specifica: “Per questo file non è stato specificato nessun autore. Per favore fornisci le informazioni relative all’autore. – http://www.partecipiamo.it/Sicilia/Palermo/falcone.htm, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4292524”